Le novità contenute nel decreto attuativo del Jobs Act si applicheranno anche ai licenziamenti collettivi; questa scelta, molto discussa, appare inevitabile, in quanto il recesso individuale per giustificato motivo oggettivo e quello collettivo hanno procedure diverse, ma si basano su motivazioni analoghe.
Si parla di licenziamenti collettivi ogni volta che un’impresa con più di 15 dipendenti decide, a causa di una riduzione o trasformazione di attività, di recedere dal rapporto di lavoro con almeno 5 dipendenti nell’arco di 120 giorni.
Novità introdotte con la riforma
Secondo il Decreto attuativo del Jobs Act, se il licenziamento collettivo viene intimato senza forma scritta, il lavoratore ha diritto alla reintegrazione sul posto di lavoro, oltre al risarcimento del danno, in misura pari alle retribuzioni che avrebbe percepito dalla data della perdita del lavoro sino a quella dell’effettiva riammissione in servizio.
Invece, nei casi più comuni, quelli del licenziamento collettivo viziato dalla violazione di una delle regole procedurali previste dalla legge n. 223 del 1991, oppure dalla violazione dei criteri di scelta, il lavoratore può ottenere un risarcimento del danno in misura pari a 2 mensilità lorde per ciascun anno di lavoro, da un minimo di 4 sino a un massimo di 24, senza reintegrazione sul posto di lavoro.
Vecchi e nuovi assunti
Il regime sanzionatorio sopra descritto si applicherà solo agli operai, impiegati e quadri del settore privato, rientranti nella categoria dei c.d. “nuovi assunti”, cioè tutti quei soggetti che inizieranno a lavorare dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del nuovo decreto. Nei confronti dei “vecchi assunti”, i lavoratori che alla data di entrata in vigore della riforma risulteranno già in servizio, nulla cambierà rispetto alle regole vigenti.
In questo modo, la nuova normativa si aggiunge – senza abrogarla – a quella vigente, con la conseguenza che per i lavoratori che perderanno il lavoro al termine della stessa procedura di licenziamento collettivo potranno coesistere due discipline differenti.
Procedura di licenziamento collettivo
Il decreto attuativo del Jobs Act modifica solo le sanzioni applicabili ai recessi invalidi, mentre non modifica le regole che governano procedura di licenziamento collettivo.
Pertanto, resta confermato l’obbligo di iniziare la procedura mediante una comunicazione scritta nella quale sono indicati il numero degli esuberi, le ragioni che rendono inevitabile il licenziamento e i motivi che impediscono il ricorso a soluzioni alternative.
Resta confermato anche l’obbligo di esperire, prima del licenziamento due distinti percorsi di negoziazione: una prima fase – c.d. esame congiunto – si svolge direttamente tra l’azienda e il sindacato, e dura un massimo di 45 giorni.
Se questa fase non porta ad alcun accordo, si svolge un secondo confronto, presso l’autorità amministrativa competente (secondo i casi, Regione o Ministero del Lavoro). Se anche questa mediazione fallisce, l’azienda può procedere ai licenziamenti, scegliendo i lavoratori secondo i criteri di scelta previsti dalla legge (carichi di famiglia, anzianità lavorativa, esigenze aziendali). Se invece le parti, durante il negoziato sindacale o amministrativo, trovano l’accordo, il licenziamento collettivo può essere revocato, oppure può avvenire secondo i criteri concordati tra le parti stesse, anche mediante il riconoscimento di un incentivo all’esodo.
Regole applicabili ai dirigenti
I dirigenti sono coinvolti a pieno titolo nelle procedure di licenziamento collettivo – e quindi devono essere computati nell’organico e possono essere posti in esubero – a seguito del recepimento, operato dalla legge europea (l. n. 161/2014), di una sentenza della Corte di Giustizia Europea (Causa n. 596/2012).
Nei confronti dei dirigenti, tuttavia, le innovazioni contenute nel Jobs Act non si applicano. Il regime sanzionatorio applicabile a questi lavoratori prevede che, in caso di violazione delle regole della procedura o dei criteri di scelta, spetta il diritto al pagamento di un’indennità risarcitoria di importo compreso tra 12 e 24 mensilità della retribuzione globale di fatto. L’importo concreto della sanzione deve essere quantificato dal giudice tenendo conto della natura e della gravità della violazione. Il tetto minimo e massimo della sanzione può essere modificato dai contratti collettivi.
(Fonte: Lavoro&Impresa)